E c’eravamo anche noi, c’eravamo tutti noi in quell’espressione di dolore, una sofferenza disumana che stravolge i lineamenti del viso quando la salita si fa lancinante e i muscoli sembrano scoppiare ad ogni spinta. Serve stringere i denti o spalancare la bocca per ingoiare tutta l’aria del mondo perché ogni pedalata è una fatica immane, ogni giro di ruota una conquista estrema. Abbiamo sofferto assieme a lui, lassù, scalando il Mortirolo col cuore in gola in attesa che finisse presto. Perché anche da casa ci siamo accorti di quanto fosse pesante divorare quell’asfalto temprato dal ghiaccio che si faceva rovente sotto gli affondi di un giovane alfiere disperatamente desideroso di non fermarsi, non lì, non ancora.

Fabio Aru è l’orgoglio di un’isola, un balente vero, nel senso più nobile e genuino del termine. Un valoroso. È l’orgoglio di noi giovani sardi che vediamo esprimersi in lui la bella immagine della nostra voglia di non fermarci, di non arrenderci di fronte alle difficoltà di questa terra dipinta in mezzo a un mare di speranze e sostenuta da passioni forti come il granito delle nostre montagne.

Da Villacidro a Milano ne ha fatta di strada, Fabio Aru, con quel sorriso imbarazzato che diventa contagioso. Ce ne eravamo innamorati già a Montecampione, l’anno scorso, della sua spontaneità, della sua grinta romantica, dell’umiltà sincera di chi ringrazia i compagni sempre e comunque sia andata la tappa, di chi saluta la mamma subito dopo aver alzato le braccia al cielo al termine di una delle più belle tappe del Giro.

Ha regalato alla Sardegna il sogno di un ciclismo che ci aveva visto sempre ai margini, e all’Italia una nuova stella da sostenere nelle grandi corse. Il “Cavaliere dei Quattro Mori”, questo il suo nome di battaglia, ha tinto di rosa i pomeriggi di maggio di una terra che sente nel cuore.

Gli occhi gonfi di lacrime di gioia o sofferenza, le mani strette sul manubrio, il volto carico di sensazioni forti. C’eravamo anche noi, in quell’espressione di dolore sul Mortirolo, ma c’eravamo anche a Cervinia e a Sestrière, quando si è alzato sui pedali e li ha lasciati tutti dietro, e c’eravamo a Milano, questo pomeriggio, per festeggiare un secondo posto che vale tanto, ma tanto di più.

Sei diventato grande, Fabio, parlano di te ricordando Pantani. Roba da matti, chi l’avrebbe mai detto? Facci sorridere ancora. Ti aspettiamo alla Vuelta, e l’anno prossimo ancora per le strade d’Italia, con la voce di un'isola ad inseguirti e accompagnarti sulle Alpi. E un solo grido: ajò!