Il caldo taglia il respiro e le gambe all'Arena Pernambuco di Recife. Qui, alla foce del Rio Beberibe, è nato uno dei più grandi pensatori della filosofia calcistica verdeoro, Juninho detto il Pernambucano, la cui buona stella, ieri, non ha brillato a sufficienza sulla rotta del timoniere Pirlo.

La barca azzurra naviga in una palude di afa e sudore che non fa sconti a chi ne ha paura. Cenerentola è lì, vestita di bianco con gli occhi increduli di chi si accorge che ce la sta per fare. La scalinata da salire sembrava troppo grande ma, stavolta, non ha perso la scarpina e non ha perso niente. Cenerentola corre con le lacrime agli occhi verso un principe che la aspetta già agli Ottavi mentre le sorelle altezzose e un tantino vanitose devono ancora sudare e faticare e solo una potrà andare alla festa.

L'Uruguay ci aveva avvisati che stavolta al gran ballo, Cenerentola, ci voleva proprio andare ma il nostro orgoglio è stato più sordo del caldo di Recife. 

La Cenerentola di questa storia si chiama Costa Rica, terra nota a noi italiani da quando il genovese Cristoforo Colombo vi pose piede, primo europeo nella storia, nel 1502.

Cinque secoli dopo, nei panni di conquistatore, un bresciano di nome Cesare Prandelli che al posto dei cannoni e delle spade ha provato la tattica del pallone per affrontare i centroamericani stavolta più preparati e freschi di noi. Le armate di capitan Buffon, stordite e a un passo dalla ritirata, hanno difeso la base scomposti in un pomeriggio da dimenticare. 

La battaglia finale si combatterà a Natal. Dentro o fuori. Abbiamo un solo colpo da sparare, le cartucce di riserva le abbiamo esplose tutte oggi. Accidenti a noi.